FAUSTO VAGNETTI

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BIOGRAFIA DI FAUSTO VAGNETTI

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Fausto Vagnetti Autoritratto

Fausto Vagnetti nasce ad Anghiari  in provincia di Arezzo il 24 marzo 1876: frequesta l’Accademia di Roma, dove inizia ad  apprendere l’arte del disegno da Filippo Prosperi.

Negli anni ’90, a Anghiari, Fausto Vagnetti vive tra ideali di socialismo puro e le gioie e le miserie della vita di provincia. Tuttavia, nel 1993, Fausto decide di lasciare il paese per studiare a Roma presso l’Istituto di Belle Arti, simile al nostro Liceo Artistico.

Questa scelta richiede coraggio, poiché Fausto non ha mezzi per mantenersi lontano da Anghiari. La sua decisione si basa sulla fiducia nella propria capacità, su un piccolo sussidio di 100 lire votato dal Consiglio Comunale per sostenere i suoi studi e su alcune promesse di sostegno locale.

Si stabilisce a Ponte Molle nella locanda di Serafino e Cesira Bianchini, suoi concittadini, l’unico edificio storico ancora visibile oggi.

Il trasferimento a Roma:

L’ambiente artistico fiorentino offriva un futuro aperto alle esperienze internazionali, mentre quello della Capitale era ancora influenzato dal passato pontificio e maggiormente difficile da conquistare partendo dalla semplice Anghiari. La scelta di Roma comportava quindi l’impegno in una carriera di impegno civile, più completa rispetto a quella offerta dalla scuola fiorentina.

E così inizia il rapporto di Fausto Vagnetti con la scuola, che si rivela molto diverso da quello che ci si aspetterebbe, considerando il suo pensiero politico.

Non è solo uno studente diligente, ma un’apprendista affamato. Oltre ad affrontare i corsi comuni nel tempo previsto, nel 1996 si iscrive ai corsi speciali di Figura, Prospettiva, Ornato e Architettura artistica, completandoli nel 1997.

Disegna e dipinge. Accanto alla passione per la scuola, c’è il disagio di doversi guadagnare da vivere. Nel 1997, Fausto Vagnetti diventa supplente per il Corso di Disegno, Ornato e Architettura; nel 1998 ottiene l’abilitazione all’insegnamento di Calligrafia; nel 1999 partecipa a un concorso per insegnare Geometria Descrittiva e ottiene l’idoneità all’insegnamento del Disegno. La scuola, che inizialmente era solo un luogo di apprendimento, diventa anche un’opportunità di lavoro – imparare significa insegnare e viceversa – anche se con retribuzioni modeste.

L’accademia e la scuola di nudo:

Avanzando nel percorso, da Istituto all’Accademia di Belle Arti, Fausto frequenta prima la Scuola libera del Nudo nel 1901 e successivamente quella di Pittura nel 1905. Durante questi anni, crea disegni e dipinti di nudi maschili e sviluppa una tecnica tonale stabile che perfeziona le sue esperienze di colore e luce sperimentate ad Anghiari come autodidatta. La forza di Fausto Vagnetti risiede nel Disegno e nell’Ornato, che è ancora Disegno. La sua abilità gli apre le porte degli studi dei grandi architetti romani, come Pio Piacentini e Gaetano Koch, e gli assicura commissioni per vetrate artistiche da parte di Picchiarini, un rinomato artigiano dell’epoca.

Nel periodo delle sue frequentazioni accademiche nel primo decennio del secolo a Roma, Fausto Vagnetti conduceva una vita interessante. Secondo un articolo su di lui scritto da Piero Scarpa, Vagnetti era uno studente povero che si associava con amici artisti altrettanto poveri come Mussini, Giuseppe Graziosi, Piero Gaudenzi, Giovanni Costantini, Amleto Cataldi, Antonino Calcagnadoro, Duilio Cambellotti, Ezio Castellucci e Longo-Mancini. Viveva insegnando lezioni di disegno, guadagnando solo due lire, un’attività che avrebbe continuato per tutta la vita. Peggio ancora, dipingeva tele per altri artisti che vi mettevano la loro firma e le attribuivano a sé stessi.

Questa è una descrizione convenzionale e stereotipata della vita bohémien. Tuttavia, le cose non sembrano essere andate così male per Vagnetti durante il periodo tra il 1905 e il 1909. Infatti, visitò Firenze e Venezia più volte per esplorare le loro Gallerie d’arte, lasciando una preziosa raccolta di osservazioni critiche. Inoltre, come apprendiamo da una nota nel suo Taccuino di molti anni dopo, Vagnetti visse un periodo di appassionata passione tra i venti e i trenta anni.

I primi incarichi:

La vita di Fausto Vagnetti si fece meno difficile dopo il 1910. Ottenne alcuni incarichi di supplenza e nel 1912 ricevette due importanti riconoscimenti: gli venne affidato il corso di Prospettiva e Scenografia presso il Museo Artistico Industriale di Roma e ottenne la cattedra di Figura disegnata all’Istituto di Belle Arti di Roma.

Ormai stabilito come residente a Roma, Fausto Vagnetti insegnava il corso di Prospettiva e Scenografia presso il Museo Artistico Industriale ed era titolare della cattedra di Figura disegnata all’Istituto di Belle Arti.

Questo era un passo importante: il “Sistema” riconosceva e accettava Vagnetti come uno dei suoi, offrendogli un posto, una relativa stabilità economica e una dignità quasi uniforme. Il Sistema era un complesso di persone, istituzioni, pregiudizi e meccanismi sociali che Vagnetti aveva affrontato quando era arrivato a Roma come un povero ragazzo di campagna, qualcosa di temuto e disprezzato ma in cui doveva vivere e navigare, preservando il meglio di sé.

I primi riconoscimenti:

Ora Fausto Vagnetti poteva dirsi integrato, era un artista riconosciuto e ricco di promesse che, sebbene mostrasse ancora tracce di bohémien (ancora viveva in una pensione a Ponte Molle), era proiettato verso il successo. Lo dimostrava con i suoi quadri. E il Sistema gli offrì un’opportunità, inviandogli per lezioni private la giovanissima figlia di un Aiutante di Campo di Sua Maestà, Rosalia Pittaluga, una ragazza dai capelli rossi subito innamorata del maestro.

Si sposarono il 24 marzo 1913, il giorno del compleanno dello sposo, con una cerimonia civile al Campidoglio. Fausto Vagnetti lasciò la locanda di Ponte Molle per una casa in via del Macello, entrando finalmente in città dopo 20 anni, a un passo dal “Ferro di Cavallo”. Il matrimonio portò il primo frutto, Luigino, che però morì tre giorni dopo la nascita, e nel 1915 nacque il secondo figlio, Luigi, che poi sarebbe diventato architetto e professore, ma che morì nel 1980.

La guerra:

Il 1915 fu l’anno della dichiarazione di guerra all’Austria: Fausto Vagnetti, ormai trentanovenne, fu richiamato per servire la Patria come sergente e tecnico disegnatore presso le Acciaierie di Terni. La sua esperienza militare sembrò essere relativamente meno impegnativa, permettendogli di dipingere e di concepire la sua seconda figlia Corinna, che nacque nel novembre del 1916.

Negli anni successivi all’Armistizio, Vagnetti tornò alla vita scolastica e artistica. Oltre ai suoi soliti insegnamenti, ricoprì il ruolo di Assistente di Disegno presso la Facoltà di Ingegneria a San Pietro in Vincoli, un primo approccio all’Università. Nell’ottobre del 1920, mentre stava affrescando una cappella gentilizia in un remoto paesino dell’Appennino umbro, venne avvicinato da Giovannoni e Manfredi, due luminari dell’architettura, che gli offrirono la cattedra di Disegno di Ornato e Architettura presso il futuro Istituto Superiore di Architettura. Era finalmente approdato all’insegnamento universitario, un porto sicuro per lui.

Lo studio della realtà:

Per chi si dedica all’istituzione e alla cultura in una Scuola d’Arte, questo cambiamento è di una radicalità senza precedenti. Per Fausto Vagnetti, è addirittura drammatico, poiché si muove in direzione opposta rispetto a ciò che guida la sua vita e la sua arte. Quello slancio sociale, che per lui è il motore morale, ora gli viene rimproverato come sovversivo. Lo studio accurato della realtà naturale, che lui considerava una missione dell’artista, viene negato a favore di manifestazioni artistiche che trasmettono un contenuto estraneo a quello che lui ritiene il vero tema della pittura.

L’arte italiana durante il periodo fascista è soggetta a pressioni esterne provenienti da due direzioni. La prima, tipicamente provinciale, proviene da esperienze straniere, tedesche, francesi e anche americane: la frattura con il realismo e l’introduzione dei contenuti artistici fanno breccia negli ambienti artistici del nord e della Toscana, e successivamente anche in quelli accademici di Roma. Presto tutto il sistema di valori pittorici viene influenzato da queste tendenze.

L’arte figurativa:

La seconda pressione è intrinseca al fascismo: insieme al nuovo regime, viene enfatizzata l’importanza dell’arte figurativa come mezzo di educazione e persuasione, ovvero come strumento di propaganda. Il Partito Nazionale Fascista pone come suo credo la giovinezza e il rinnovamento, il che implica che l’arte del periodo antecedente la Prima Guerra Mondiale debba essere rinnegata e si debba aprire alle nuove esperienze del secolo appena iniziato. Lentamente ma inevitabilmente, le preferenze delle commissioni giudicatrici e degli esperti ministeriali si allontanano da una pittura che trova valore in sé stessa, per abbracciare un’altra più legata ai contenuti.

Fausto Vagnetti si trova nella trincea accademica romana e per un decennio riesce a combattere sullo stesso piano le nuove tendenze. Questo decennio va dal 1922 al 1932, concludendosi con la prima Mostra della Rivoluzione Fascista a Roma, o meglio, con la facciata posticcia di questa mostra, ideata da De Renzi e Libera, sovrapposta alla facciata originale di Pio Piacentini. È un decennio in cui la cultura fascista sta ancora prendendo forma e non disdegna di attingere dall’arte presente, quindi accademia e politica si intrecciano in modo armonioso. In questo ambiente in evoluzione, Fausto Vagnetti, politicamente sgradito ma artisticamente apprezzato, lavora con una relativa tranquillità.

I modelli antichi:

La sua pittura diventa più strutturata, seguendo i modelli degli antichi che lui studia con passione, e adatta per committenze ufficiali e private di ritratti e paesaggi, che trovano luce nelle Gallerie. I suoi dipinti su cavalletto diventano vere e proprie architetture calcolate dei vari piani compositivi, progettate con cura prima di essere eseguite. Sono lezioni immobili che possono essere esposte senza vergogna accanto ai dipinti di una Galleria pubblica.

Emerge anche la sua figura critica: nel 1928 partecipa a un “Concorso Poletti” dell’Accademia di San Luca e lo vince con un saggio sulla decadenza della pittura contemporanea, che verrà pubblicato nel 1933 ma ignorato dalla critica ufficiale. Nel 1929, a 53 anni, Fausto Vagnetti lascia, insieme alla sua famiglia, la vecchia casa di via del Macello per una appena costruita in via Monte Zebio, in uno dei quartieri più richiesti e soleggiati della nuova Roma: il quartiere delle Vittorie, un’area che in passato ospitava l’Esposizione Universale del 1911. Nel 1930, da Rosalia, nasce la sua ultima figlia, la tanto adorata Maddalena.

Gli ultimi anni:

Alla fine del 1929, viene sottoposto a una brutale perquisizione domiciliare da parte della Polizia, segnalato come massone e sovversivo. L’atmosfera generale si è fatta più opprimente, ma Fausto Vagnetti continua a svolgere la sua attività di pittore e insegnante nel modo possibile.

La sua attività pittorica ne risente, con la fine degli incarichi e delle commesse. Continua a dipingere ritratti e paesaggi di grande rilevanza, soprattutto per sé stesso, in vista di eventuali mostre. Riprende anche con entusiasmo la creazione di paesaggi a pastello, raffiguranti la campagna di Anghiari, opere meno impegnative e più commerciali.

La mancanza di commesse porta a una diminuzione dei guadagni proprio quando le spese familiari aumentano. In questa fase finale della sua esistenza, la vita si presenta a Fausto Vagnetti come un continuo e faticoso bilanciamento delle finanze. La sua carriera accademica diventa sempre più importante per il successo che riscuote, con un numero crescente di iscritti, presso la Facoltà di Architettura, che dal 1932 si trova a Valle Giulia.

Qui, fino al 1949, Fausto Vagnetti occupa la cattedra di Disegno dal Vero e definisce gli elementi fondamentali di questa disciplina per gli architetti, creando un modello che verrà seguito in tutte le successive facoltà italiane.

I suoi lavori più significativi sono:

  • Via Bianca;
  • Ritratto del babbo;
  • Il nonno;
  • Conflitti sociali;
  • Sotto i castagni;
  • Dai campi, premiato con medaglia d’oro ad Arezzo nel 1906;
  • Ritratto di Carducci;
  • Ritratto della mamma;
  • Il sole della mattina;
  • Una pieve (1911), appartenente all’on. Marchesano;
  • Solitudini;
  • Ritratto della moglie;
  • Tra le quercie;
  • Ritratto del colonnello Fogliani;
  • Di sera a Ponte Milvio;
  • Ritratto del Re, per il salone del Comune di Pola (1919);
  • Dolore muto (1921);
  • I cipressi di Spogliabecco, di proprietà reale;
  • trenta pastelli illustranti la “Alta valle del Tevere”, esposti nel 1923 alla «Amatori e Cultori» di Roma;
  • grandi ritratti di “Umberto I;
  • Vittorio Emanuele II e Vittorio Emanuele III, per il salone del Palazzo del Governatore di Zara;
  • Anima mite;
  • Sul Palatino augusto;
  • Se tornasse!;
  • Dodici pastelli illustranti il “Palatino”;
  • Luci rosse sul Palatino;
  • L’ultimo “Ritratto di Giovanni Giolitti” (1928), appartenente alla famiglia Chiaraviglio;
  • La bimba dalle treccie;
  • Il Serafico di Assisi (trittico), nella chiesa Miracolata di San Polo presso la Verna;
  • I dintorni di Roma;
  • La mia mamma in preghiera;
  • Mattino sereno a Villa Glori.

Tra i suoi lavori decorativi si rammentano: tre grandi figure di “Santi” e un “Angelo“, dipinti nella cupola della chiesa di Santa Rosa a Viterbo; i dipinti ad encausto nella Cappella francescana del palazzo Pennazzi Catalani a Porchiano del Monte; una “Allegoria“, eseguita sul soffitto del salone della Cassa di Risparmio di Cortona.

 

Fausto Vagnetti Nel bosco anghiarese
Fausto Vagnetti Nel bosco anghiarese

 

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