CAGNACCIO DI SAN PIETRO

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LE QUOTAZIONI di Cagnaccio di San Pietro

Le opere dell’artista sono valutate come segue: del periodo del realismo magico hanno valutazioni comprese tra i 26.000 ed i 65.000 Euro, mentre le opere più piccole si valutano tra i 10.000 ed i 15.000 Euro. Gli oli su tavola più piccoli sono quotati tra i 2.000 e i 6.000 Euro.

N.B. Le valutazioni qui riportate sono puramente indicative. È importante contattare i nostri esperti ricevere una quotazione gratuita e aggiornata.

 

QUOTAZIONI CAGNACCIO DI SAN PIETRO

Tipologia opere Dimensione Quotazione
Periodo realismo magico medie 26.000 – 65.000 Euro
Periodo realismo magico piccole 10.000 – 15.000 Euro
Olio su tavola piccoli 2.000 – 6.000 Euro

 


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BIOGRAFIA DI CAGNACCIO DI SAN PIETRO

Cagnaccio di San Pietro autoritratto
Cagnaccio di San Pietro autoritratto

CAGNACCIO DI SAN PIETRO è nato a Natale Bentivoglio Scarpa in provincia di Brescia il 14 gennaio del 1897 e deceduto il 29 maggio del 1946 a Venezia, è stato un pittore realista magico italiano.

La Vita Precoce

Il destino si intrecciò crudelmente con la vita di Natalino fin dalla sua infanzia. Il suo fratello maggiore, Guerrino, fu vittima della febbre spagnola in tenera età, lasciando il piccolo Natalino come unico figlio erede.

I genitori, gravati dal dolore e dalle circostanze avverse, si trovarono costretti a fare ritorno al loro paese d’origine, San Pietro in Volta, sull’isola di Pellestrina. Qui, il giovane Natalino fu affidato alle cure amorevoli dei nonni paterni. Crescendo, si immerse nell’atmosfera dei pescatori che popolavano la laguna veneziana, un mondo fatto di reti annodate e odore di sale.

Fu un vecchio cane randagio, la cui voce rauca ringhiava ai passanti, a ispirargli il nome d’arte che lo avrebbe reso celebre. Ma ci volle del tempo prima che questo pseudonimo si radicasse nell’immaginario collettivo. Tra il via vai dei nomi come “Scarpaccio”, omaggio al famoso concittadino Vittore Carpaccio, e “Cagnaccio Scarpa”, utilizzato durante la sua prima esposizione al salone Bonvecchiati nel 1916, Natalino trovò la sua identità artistica.

Questo nome, scelto con cura, rifletteva le molteplici sfaccettature della sua personalità. “Cagnaccio” portava con sé un’aura di ribellione e anticonformismo, mentre “Scarpa” evocava le radici profonde del suo luogo d’origine, San Pietro, e la tradizione dei santi apostoli che lo accompagnava.

I Primi Passi nell’Arte

Natalino intraprese il suo cammino artistico in modo umile e discreto. Le scuole dell’obbligo presso l’Istituto Gasparo Gozzi di Venezia furono solo un breve capitolo nella sua storia. Abbandonate presto per contribuire al sostentamento della famiglia, Natalino si trovò a svolgere lavori modesti e faticosi.

Ma il destino aveva altri piani per lui. Il suo talento non poteva rimanere sommerso per sempre. Fu il professore Ettore Tito, colui che incrociò casualmente i suoi disegni promettenti, a risvegliare l’interesse per l’arte in Natalino. Custoditi nell’atmosfera calda e accogliente di un’osteria a San Pietro in Volta, quei disegni divennero la chiave per un futuro luminoso.

Così, nel 1912, a soli quindici anni, Natalino si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Venezia, guidato dalle lezioni del suo mentore. Nonostante l’influenza del professor Tito, Natalino sentiva una chiamata più profonda, un richiamo alla vita randagia che lo attirava irresistibilmente.

La sua breve permanenza all’accademia non fece che accrescere il suo desiderio di libertà e autenticità. Tuttavia, gli ambienti artistici locali e le relazioni che vi strinse furono fondamentali per la sua crescita artistica. Tra i colleghi della galleria Ca’ Pesaro, Natalino trovò ispirazione e sostegno, aprendo la strada a un nuovo capitolo nella sua vita e nella sua arte.

Il Viaggio nella Creatività

Nel lontano 1910, un giovane artista ebbe l’opportunità di partire per una straordinaria avventura: visitare la prestigiosa mostra personale di Gustav Klimt alla Biennale di Venezia. Quest’esperienza si rivelò essere una vera e propria immersione nelle nuove forme espressive della Secessione viennese, lasciando un’impronta indelebile nella sua mente creativa. Animato dalle suggestioni ricevute, si dedicò con fervore alla decorazione dell’hotel Terminus di Venezia, collaborando con il talentuoso artista muranese Vittorio Zecchin.

Il suo debutto nel mondo dell’arte avvenne nella primavera del 1916, quando espose le sue opere nel salone dell’hotel Bonvecchiati. Qui, immerse nell’atmosfera simbolista dell’epoca, le sue creazioni portavano il titolo enigmatico de “La Kultur”.

Il Battesimo del Fuoco

L’anno 1917 segnò una svolta nella vita di questo artista, quando fu chiamato alle armi e arruolato nel 57° reggimento di fanteria. Destinato al fronte, sulle linee di Plava-Zagora, affrontò le dure prove della guerra. Ma non fu solo un periodo di sofferenza e privazioni; durante il servizio militare ebbe l’opportunità di incontrare il fervente Filippo Tommaso Marinetti, figura di spicco del movimento futurista. Questo incontro fu fondamentale, poiché spazzò via le residue influenze simboliste, ispirandolo a creare opere intrise delle suggestioni del conflitto bellico, seguendo lo spirito innovativo del futurismo.

L’Espressione della Rinascita

Dopo un infortunio al polpaccio, trascorse mesi di convalescenza all’ospedale militare di Roma. La fine della guerra nel 1919 segnò il suo congedo definitivo. Tornato alla vita civile, incontrò Romilda Ghezzo, operaia presso la fabbrica Junghans. Nonostante le loro differenze, decisero di condividere la vita insieme. Insieme, si trasferirono a Napoli in cerca di opportunità lavorative.

Il Ritorno alle Radici

Tuttavia, il richiamo della sua città natale, Venezia, si fece sempre più forte. Nel 1920, la coppia fece ritorno nella città lagunare, dove ottenne l’assegnazione dell’ex caserma di San Pietro, con il progetto di ristrutturarla. Questo periodo, sebbene segnato da difficoltà familiari, fu incredibilmente fertile dal punto di vista artistico. Qui, nella vecchia caserma, avvenne la svolta artistica del 1920.

La Rinascita Artistica

L’opera “La Tempesta” del 1920 segnò una nuova fase nella sua evoluzione artistica. Questo lavoro mostrava una fusione di stili, con influenze del movimento “ritorno all’ordine”, che promuoveva il recupero delle forme classiche e delle proporzioni plastiche. Nell’opera, le nuvole sullo sfondo richiamavano la tradizione decorativa del simbolismo nordico, mentre il trattamento del modellato testimoniava un ritorno alla tradizione pittorica locale, dalla scuola dei Vivarini al primo Giovanni Bellini.

La Passione per l’Arte e la Tradizione

L’artista abbracciò appieno l’importanza del “mestiere”, riconoscendo la necessità di padroneggiare le tecniche artistiche tradizionali. Per lui, mescolare pigmenti e creare nuove tonalità era parte integrante del processo creativo. Infatti, dedicava tempo ed energia alla sperimentazione, inventando ricette e metodi unici per ottenere gli effetti desiderati sulla tela.

L’Alba di Nuove Vite e il debutto nell’arte

Nel 1923 vide la luce la primogenita Liliana, che sin dalle prime fasi della sua esistenza si trovò legata al padre in un rapporto profondo e intenso, assumendo con il tempo anche il ruolo di sua assistente nelle varie attività quotidiane. Due anni più tardi, nel 1925, venne al mondo il figlio Guerrino, il cui nome fu scelto in memoria del fratello maggiore mai conosciuto.

Con un contesto così ricco di significato, il debutto di Cagnaccio alla Biennale di Venezia nel 1924 si rivelò perfettamente in sintonia con l’atmosfera culturale del periodo. Nello stesso anno, a Venezia, Margherita Sarfatti curò una mostra intitolata “Sei pittori del ’900”, mentre l’anno successivo Franz Roh pubblicò “Nach-Expressionismus. Magischer Realismus”, un testo critico che divenne un punto di riferimento per le correnti artistiche internazionali. Tuttavia, Cagnaccio non si sentì mai attratto dall’aura “magica” che gli studiosi tedeschi attribuivano agli artisti d’Oltralpe, preferendo conferire ai suoi soggetti un’impressione di rigore e solidità, che li rendesse quasi inavvicinabili. Questo stile lo avvicinò al movimento della Neue Sachlichkeit, senza però abbracciare completamente la deformazione espressionista, mostrando piuttosto affinità stilistiche con l’opera di artisti come Christian Schad.

La Crescita Artistica

Da quel momento in poi, l’attività espositiva di Cagnaccio divenne più regolare, con mostre e personali che si susseguivano almeno due volte l’anno presso varie istituzioni a Venezia e in altre città della regione. Nel 1925, già affermato, ottenne buone recensioni alla Biennale di Roma, mantenendosi sempre distante da aggregazioni e movimenti artistici. Questa sua indipendenza potrebbe aver contribuito al suo sostegno dell’antifascismo, che lo tenne lontano dalle iniziative espositive promosse da Margherita Sarfatti, vicina al regime fascista. Già nel 1924, la critica veneziana aveva criticato il suo trittico “La madre: La vita, Il dolore, La gloria” per il suo stile lineare e la mancanza di riferimenti classici, che contrapponevano nettamente le opere di Cagnaccio a quelle dei protetti di Sarfatti.

Le Sfide e i Rifiuti

Nel 1928, la Biennale di Venezia rifiutò “Dopo l’orgia”, uno dei capolavori di Cagnaccio, incentrato sulla critica dei costumi del regime fascista. L’opera, caratterizzata dalla freddezza dei corpi femminili abbandonati sul pavimento, non risparmiò critiche al regime, evidenziando la sua distanza politica dallo stesso. Questo rifiuto compromise le possibilità di Cagnaccio di ottenere la direzione dell’Accademia, che sembrava essere alla sua portata. Ironia della sorte, nel 1932 il dipinto “Randagio”, ritratto di un giovane dalla pelle diafana e sguardo sognante, venne acquistato personalmente da Adolf Hitler durante una sua visita privata alla Biennale di Venezia nel 1934, in compagnia di Benito Mussolini.

La scoperta

Nel lontano 1927, Cagnaccio fece un incontro casuale con una giovane donna che viveva ai margini della società, una figura di prostituta itinerante. Senza esitazione, la accolse nella sua modesta dimora sulle rive del canale della Giudecca, offrendole ospitalità nelle stesse stanze dove la sua fedele domestica Italia risiedeva abitualmente. Non fu una decisione frutto di calcolo, ma piuttosto un impulso artistico che lo spinse ad accoglierla come modella. Il corpo snello e angoloso della ragazza divenne il soggetto principale delle sue opere, sempre dipinto in maniera quasi cruda, un simbolo di vita vissuta e di desiderio. Questa nuova musa ispiratrice si rifletteva non solo nei celebri dipinti come “Dopo l’orgia”, ma anche in opere meno conosciute come “Zoologia” e “Primo denaro”, quest’ultima ritrovata recentemente in Venezuela dopo essere stata dimenticata per decenni.

Gli anni dal 32 al 35

Negli anni successivi, compresi tra il 1932 e il 1935, Cagnaccio si immerse completamente nel tema del ritratto, un genere che aveva già esplorato in passato per sbarcare il lunario. Ora però, il suo approccio era diverso. Non si limitava più a dipingere le donne dell’alta società o le operaie delle fabbriche veneziane, ma cercava di cogliere l’anima del popolo, di raccontare le loro storie attraverso il pennello. Opere come “Operaia” e “Attesa” riflettevano la sua sensibilità nei confronti delle classi lavoratrici e della loro lotta quotidiana.

La tragedia personale

Nel 1934, nel suo piccolo studio nel quartiere di Dorsoduro, Cagnaccio dipinse “I naufraghi”, un dipinto che rappresentava la dura realtà della vita portuale. Ma mentre la sua arte fioriva, la sua vita privata subiva un duro colpo. Durante la visita dei suoi genitori per ammirare la sua ultima opera, il padre di Cagnaccio morì improvvisamente, gettando l’artista nell’abisso della tristezza e della disperazione.

La lotta contro la malattia

La morte del padre segnò l’inizio di un periodo buio per Cagnaccio, segnato non solo dalla perdita del genitore, ma anche dalla sua crescente lotta contro la malattia. Afflitto da ulcere gastriche, subì diversi interventi chirurgici e dovette ricorrere a oppiacei per alleviare il dolore lancinante che lo tormentava costantemente. Le sue frequenti lettere ai familiari da Fener, sulle montagne bellunesi, testimoniano la sua ricerca di pace e conforto in mezzo alla sofferenza.

La ricerca spirituale

Fu durante questi anni oscuri che Cagnaccio si avvicinò sempre di più alla spiritualità. Aggiungendo la sigla “S. D. G.” alle sue opere, manifestò la sua devozione a Dio e la sua ricerca di significato in un mondo segnato dalla sofferenza. I suoi dipinti religiosi come “Luce nelle tenebre” e “S. Paolo della croce” riflettevano la sua ricerca interiore e la sua fede in un destino più elevato, offrendo un barlume di speranza in mezzo all’oscurità della sua esistenza.

Un Anno di Successi Espostivi

Il 1935 si rivelò un periodo incredibilmente propizio dal punto di vista delle esposizioni artistiche. Dopo aver partecipato con entusiasmo alla Mostra dei quarant’anni della Biennale, alla Seconda Quadriennale di Roma e alla mostra del Circolo artistico di Venezia, Cagnaccio ricevette un invito per una personale presso la prestigiosa galleria Genova di Stefano Cairola, situata nella città omonima. Insieme al critico Ugo Nebbia, si dedicò alla cura del catalogo per l’esposizione. Nonostante il suo successo ormai consolidato, il rapporto con la critica rimase sempre sul filo, suggerendogli, soprattutto negli ultimi dieci anni, un senso di delusione che lo portò a respingere con disprezzo l’opportunità di dirigere l’Accademia, ruolo che in passato aveva ambìto.

Nuovi Orizzonti Familiari e Guerra Incombente

Successivamente, con la sua famiglia, si trasferì nella residenza definitiva in calle dello Zucchero alle Zattere. Tuttavia, l’ascesa del conflitto bellico costrinse lui e la sua famiglia ad abbandonare la casa a causa del peggioramento dei suoi problemi di salute. Dopo un periodo di ricovero durato circa sei mesi all’ospedale al Mare del Lido, Cagnaccio, durante una parentesi di introspezione mistica, ritornò a concentrarsi sulla realtà circostante, dedicandosi con passione alle nature morte cristalline e alle rappresentazioni di ampolle e bottiglie di vetro, contenenti soluzioni mediche, che fluttuavano in un mondo sospeso tra la nitidezza e l’astrazione.

Un Atto di Coraggio Nascosto

Al suo ritorno a casa nel 1942, dopo aver rifiutato nuovamente l’adesione al partito politico, l’artista si ritrovò a nascondere per diversi mesi due membri della resistenza locale, braccati dalla polizia e dalle SS tedesche. In seguito, si prese anche cura dell’amico Luigi Tito, figlio del suo unico mentore artistico. Questo segnò l’inizio di una fase sempre più ritirata della sua vita, anche a causa dei dolori cronici che lo affliggevano negli ultimi anni.

L’Epilogo Artistico

Dopo aver completato “La furia” nel 1945, un’opera che ricordava per impostazione e stile la cruciale “La tempesta” del 1920, Cagnaccio si spense a Venezia il 29 maggio 1946, all’età di soli quarantanove anni. La sua eredità artistica e il suo coraggio nell’affrontare le sfide del suo tempo continuano a ispirare e ad influenzare generazioni di artisti a venire.

 

Cagnaccio di san Pietro Rrosario
In questo dipinto notiamo una donna vestita di nero con la corona in mano, che utilizza una sedia impagliata come inginocchiatoio. Dietro di lei c’è la figlia, mentre ai lati troviamo i due nipoti. Si nota l’intensità della preghiera dei personaggi.

 

Cagnaccio di san pietro - “Autoritratto”, 1938 Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia
Autoritratto del 1938 Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia

 

Cagnaccio di San Pietro - I naufraghi
I naufraghi

 

Cagnaccio di San Pietro - Autoritratto - Primo denaro, 1928 Olio su tavola, 59,5 x 79,5 cm
Autoritratto – Primo denaro, 1928 Olio su tavola, 59,5 x 79,5 cm

 

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